Un asse che ridisegna ruoli e responsabilità
La scarsità di competenze digitali e la rapida diffusione dell’AI stanno portando il CIO al centro dei processi HR: dalla selezione all’onboarding, fino alla formazione su tecnologie e AI Literacy. Nelle organizzazioni più avanzate, il rapporto con l’HR diventa un patto strategico per attrarre e trattenere talenti, con il supporto di consulenti e head hunter. Lo conferma Lorenzo Cibrario, CIO dell’Università Vita-Salute San Raffaele: “Nella nostra Direzione cerchiamo profili di alto livello che lavorino sul cloud e che sappiano usare piattaforme avanzate di AI, tenendo presente che usiamo tecnologie che un domani dovranno affiancare gli strumenti di cura”.
“Abbiamo bisogno di talenti curiosi, appassionati e pronti a lavorare per una grande realtà che ha un focus specifico sulla salute. Non è facile attrarre risorse, il mercato è agguerrito sulle competenze cloud ed AI. Anche per questo, il rapporto con l’HR è ormai strettissimo. L’HR ha capito che è necessario collaborare da vicino con l’IT, perché non ha tutti gli strumenti per valutare i profili specialistici della tecnologia”.
Reclutamento congiunto e nuovi profili chiave
Il legame tra IT e HR si riflette anche nel mercato del recruiting specializzato. Jessica Cibin, Associate Executive Manager di Michael Page, racconta: “Abbiamo sempre avuto una practice technology al nostro interno, con l’unicità che è divisa in cinque verticalizzazioni tematiche”. “Siamo un recruiter e ci interfacciamo con i CHRO, ma negli ultimi anni il ruolo dell’IT nell’HR è diventato sempre più grande e io stessa mi relaziono sempre più spesso con i CIO”. La richiesta più frequente? Ruoli di regia come il program manager. “Il CIO – e questa è una novità degli ultimi anni – è molto interessato alla valorizzazione che l’head hunter può dare”. “Lavoro molto bene con i CIO, perché sanno definire con precisione il taglio del profilo che cercano, non sono generalisti. Oggi, per esempio, molti CIO cercano il program manager, un ruolo emergente e strategico che dà supporto ai progetti, sa quando farli avanzare o fermarli, assegna le risorse finanziarie e redige dei report dedicati per il CIO o il CEO. Tipicamente è un ex project manager con forti capacità relazionali, perché ha a che fare con tutti in azienda. È un grande supporto per il CIO”.
Sul fronte interno, Cibrario sottolinea l’evoluzione nel metodo di selezione: “È l’IT a sapere quali sono i profili da trovare e quali caratteristiche devono avere e l’HR non può più fare a meno di collaborare con l’IT in tutte le fasi della selezione”. “Tradizionalmente l’HR definisce la job description, seleziona i candidati e conduce i colloqui, ma, con i profili IT emergenti, non riesce a produrre una rosa di candidati soddisfacente da sottoporre al CIO. Occorre lavorare insieme fin dalle prime fasi: non è raro che all’HR sfuggano dei profili interessanti, perché sono molto nuovi e altamente tecnici. Questo vale soprattutto per le professioni legate a AI e cloud, mentre sulla cybersecurity le risorse umane sono riuscite ad aggiornarsi su terminologie e definizioni”.
Le responsabilità pratiche del program manager più richiesto includono, in sintesi:
- Supportare i progetti e valutarne lo stato di avanzamento.
- Decidere se accelerare, rallentare o fermare le iniziative.
- Assegnare risorse finanziarie in modo efficace.
- Produrre report dedicati per CIO e CEO.
Oltre i CV: fattore umano e AI con un approccio etico
Nel nuovo perimetro del people management, i CIO rivendicano un ruolo diretto nella valutazione delle persone, senza delegare tutto agli algoritmi. Tiziano Andreoli, CIO in realtà manifatturiere e biotech/pharma, spiega: “Ho sempre svolto un lavoro di squadra con la funzione HR e gli head hunter per le assunzioni in azienda”. La sfida post-pandemia ha alzato l’asticella: “Ho osservato grandi cambiamenti dopo la pandemia di Covid. Siamo sempre più alle prese con la mancanza di risorse e competenze”. E chiama in causa anche scuola e università: “Il sistema scolastico e universitario devono evolvere (o ritornare alle origini, forse), fornendo gli strumenti che permettono poi alle persone di apprendere cose nuove. Non è pensabile puntare tutto il ciclo scolastico sui concetti, ossia sulle sole competenze, perché, una volta inserita nel mondo del lavoro, la persona non conosce tutto e anche perché le competenze diventano presto obsolete”.
Da qui una visione dell’AI che resta abilitante e responsabile: “Forse sembrerò scettico, ma non credo nell’AI che fa tutto da sola”. “Al livello attuale, certamente l’AI è sbalorditiva: cataloga competenze, riassume, presenta e individua incongruenze. Ma non è ancora in grado di creare, infatti, per ora è generativa. Nella sfera HR velocizza i task, riduce i tempi di lavoro e permette alle Risorse Umane di dedicare il proprio tempo ad attività di valore. Ma non può capire la persona, non può scoprire un talento o verificare se un soggetto ha una particolare caratteristica: servono le Risorse Umane ed il CIO”. Anche Cibrario mantiene prudenza sullo screening automatico dei CV, a tutela di equità e qualità: punta a “essere certo di un tasso di errore molto basso” e ribadisce che “Certe regole sono difficili da automatizzare”.
Dalla people strategy alla AI literacy: il CIO come tutor
Quando la tecnologia è pervasiva, il CIO diventa facilitatore e ambasciatore della trasformazione. Francesco Derossi, CIO di Liquigas, racconta: “Collaboro con l’HR con un ruolo di guida nella job description e nel percorso di selezione, dove io e il mio team partecipiamo sia intervistando il candidato sia raccontando che cosa l’azienda e l’IT fanno”. La priorità non è solo tecnica ma culturale: il punto di forza resta “la capacità della persona di interagire all’interno dell’organizzazione parlando la lingua del business”. Per attrarre talenti, Derossi investe anche nella presenza esterna: “Cerco di promuovere la nostra organizzazione – spiega – raccontandola nell’ambito di specifici eventi e intervenendo nelle università. Illustro le soluzioni che sviluppiamo e quali tecnologie usiamo. Molte sono best of breed e contribuiscono ad attrarre i talenti, perché danno un’idea degli investimenti che facciamo nella tecnologia e ci collocano come un’azienda con una forte evoluzione digitale”.
Questa convergenza è anche culturale. Per Chiara Novello, senior manager HR, “Le tecnologie stanno producendo dei forti impatti nelle organizzazioni, non solo in sé e per sé ma perché cambiano i task e le competenze annesse”. “Oggi si tende a preoccuparsi dell’AI (o del prossimo trend tecnologico) che ci ruberà il lavoro, ma la questione è mal posta: non si tratta di perdere lavoro, ma di svolgerlo in modo diverso. Occorre, cioè, agire in modo diverso seppur nel medesimo ruolo. Il compito dell’HR, insieme al CIO, è proprio quello di aiutare questa trasformazione, rinnovandosi a sua volta”. Da qui l’invito a far lavorare alla pari IT e HR: “Non è affatto un obiettivo facile da raggiungere, anzi, siamo lontani. L’HR soffre ancora di un gap, non si addentra nei temi della tecnologia”. “Per questo in tanti casi i CIO si rivolgono direttamente agli head hunter o a consulenti esterni aggirando l’ostacolo di un HR interno troppo tradizionale. L’HR funziona ancora con un’organizzazione vecchio stile, solo parzialmente toccata dalla trasformazione digitale e concentrata sui compiti classici del recruitment, della formazione o dell’amministrazione. Questi temi “classici” restano importanti, ma va costruito un nuovo ruolo dell’HR come partner della trasformazione, quasi di Chief Innovation Officer dedicato a tutelare la sostenibilità organizzativa e l’employability della forza lavoro, garantendo la continua evoluzione dei modi di lavorare. CIO, CTO, Innovation Officer e HR sono parte di una stessa squadra che deve lavorare insieme e alla pari sui progetti e sull’impostazione strategica”.
Il cambiamento richiede leadership empatica. Armando Novara, CIO e CISO di Intecs, lo sintetizza: “L’aspetto umano non va lasciato in secondo piano: il CIO deve saper gestire le persone e la loro interazione. Deve essere come un tutor”. “Qui entrano in gioco le soft skill del CIO, perché nel people management non esistono regole scritte, ma doti innate di psicologia, attitudine alla gestione conflitti, capacità di rendere meno complessa una situazione critica e sopportare il peso dello stress, alleviando le tensioni nel team. Rendere l’ambiente più umano, parlare con le persone e lasciare la porta aperta alle loro emozioni, esigenze e complessità: sono queste sono le regole non scritte del CIO people manager”. In parallelo, il CIO guida IT e AI Literacy per tutta la popolazione aziendale: “Oggi i CIO hanno anche la responsabilità di affrontare i temi legati all’intelligenza artificiale”. “Devono, per esempio, capire quali tool integrare per facilitare il business e far comprendere a CEO e imprenditori che l’AI può migliorare le decisioni, l’efficienza e la redditività. Oltre a digitalizzare i processi interni e ad automatizzare le attività ripetitive per liberare tempo ai collaboratori, devono occuparsi di migliorare la comunicazione interna ed esterna con strumenti digitali e formare il personale sull’utilizzo delle nuove tecnologie, la cosiddetta IT Literacy”. È il modo più efficace per far percepire l’innovazione “non come costo, ma come investimento per garantire continuità e competitività all’impresa”.