L’Intelligenza Artificiale è sulla bocca di tutti. Descrivere l’attuale entusiasmo mediatico e aziendale come pervasivo sarebbe un eufemismo. L’AI è la tecnologia del momento, presentata come una soluzione quasi magica per accelerare il business e creare valore. Eppure, dietro questa facciata scintillante si nasconde una realtà ben più complessa.
Durante la tavola rotonda tra esperti del settore, Giovanni Cinquegrana, Presidente di Assodigit, ha aperto la discussione citando una statistica sconcertante: la percentuale di fallimento dei progetti AI può raggiungere l’80-85%.
La sorpresa è che, secondo gli specialisti, la causa principale di questi insuccessi non risiede nella complessità degli algoritmi o in limiti tecnologici. Il problema è molto più fondamentale e radicato, ovvero, l’assenza di una solida cultura del dato.
Questo articolo esplora quattro lezioni controintuitive emerse da quella discussione, pensate per aiutare aziende e professionisti a evitare gli errori più comuni e a costruire un percorso di successo verso l’adozione dell’AI.
Il vero ostacolo non è il codice, ma la “cultura del dato”
Il primo, grande equivoco è pensare che implementare l’AI sia solo una questione tecnologica.
Come sottolineato da Giovanni Cinquegrana, il vero prerequisito è una trasformazione profonda che coinvolge processi e persone. Serve una “cultura del dato” e una “cultura della responsabilità”. Molte aziende, anche di grandi dimensioni, si approcciano all’AI per poi trovarsi in una “situazione abbastanza drammatica” dal punto di vista della gestione dei dati.
Implementare una piattaforma non basta. È necessario che l’intera organizzazione comprenda il valore strategico del dato e si senta responsabile della sua qualità. In questo contesto, l’etica non è un vincolo burocratico, ma una guida indispensabile per l’innovazione. È la bussola che permette di distinguere un uso corretto da un abuso della tecnologia, garantendo che lo sviluppo rimanga sostenibile e centrato sull’uomo.
“…questa tecnologia sta accelerando tantissimo, ma poi sappiamo bene che la velocità non determina la direzione. Quella invece dobbiamo sempre tenerla a mente noi… la governance deve rimanere sempre in mano all’uomo.” — Giovanni Cinquegrana, Presidente di Assodigit.
Demolire i miti: perché “più dati” non è meglio e il dato non è il “nuovo petrolio”
Due narrazioni dominano da anni il mondo dei dati, ma secondo Paolo Ferrandi, Data Valorization Director di Res Group, sono entrambe fuorvianti: “dobbiamo raccogliere più dati possibili” e “il dato è il nuovo petrolio”.
Raccogliere dati in modo indiscriminato da sistemi diversi, con precisioni, codifiche e intervalli di campionamento differenti, porta solo a creare data lake pieni di informazioni non coerenti e, di fatto, inutili. A differenza del petrolio, che una volta raffinato ha un valore intrinseco, un dato ‘pulito’, da solo, non informa. Assume valore solo nel momento in cui un modello lo interpreta per descrivere il processo da cui ha avuto origine.
Il concetto chiave, ha spiegato Ferrandi, è che il valore non risiede nel dato grezzo, ma nel processo fisico che lo ha generato. L’obiettivo non è analizzare una singola lettura di temperatura, ma modellare il processo di degrado e usura del macchinario, di cui quella lettura è solo una rappresentazione parziale e imperfetta. La soluzione, quindi, non è accumulare, ma contestualizzare.
Questo avviene attraverso la “metadatazione“: arricchire i dati con informazioni di contesto (metadati) che ne descrivono l’origine, l’accuratezza e le relazioni nascoste. Solo così l’AI può interpretarli correttamente. Il dato e il modello che lo interpreta, quindi, devono evolvere costantemente insieme.
Ma anche il metadato più ricco è inutile se il dato originale è inaffidabile. E come hanno sottolineato gli esperti di Siveco Italia, la fonte più comune di questa inaffidabilità non è la macchina, ma l’uomo.
L’Elemento umano: il punto più critico della catena del valore
Per quanto sofisticati possano essere i sistemi di raccolta automatica, l’intervento umano rimane un anello fondamentale e, spesso, il più fragile della catena del valore.
Come hanno illustrato gli esperti di Siveco Italia, con un intervento particolarmente incisivo di Stefano Betti, direttore dell’azienda, la fonte più comune di questa inaffidabilità non è la macchina, ma l’uomo. Gli esempi concreti sono illuminanti: la fretta di un operatore che, durante il cambio turno, consuntiva gli ordini di lavoro in modo impreciso, o un semplice trattino inserito per errore in un codice che impedisce a chiunque di ritrovare un’informazione critica.
Questi errori, anche se apparentemente piccoli, “sporcano” il dato fin dall’origine. Di conseguenza, qualsiasi analisi successiva, per quanto avanzata, produrrà risultati inaffidabili. La soluzione non è solo tecnologica – fornire strumenti più efficaci e facili da usare – ma è soprattutto culturale.
È fondamentale investire nel change management e nella formazione, per rendere le persone consapevoli dell’impatto enorme che una loro “leggerezza” può avere sull’intera catena decisionale dell’azienda.
Questi errori umani, apparentemente banali, dimostrano che la tecnologia da sola non basta. L’unico vero antidoto è un sistema di regole chiare e condivise, ovvero un processo governato, come evidenziato da Giulio Capasso Innovation Advisor di Assodigit.
Il processo prima di tutto: senza regole, l’AI naviga a vista
L’intelligenza artificiale non inventa il dato, lo usa. Come ha sintetizzato Giulio Capasso, dare un set di dati “sporco” al miglior analista (o alla migliore AI) del mondo produrrà analisi eccellenti, ma basate su fondamenta non solide. Prima ancora di parlare di algoritmi, è fondamentale avere processi “strutturati, standardizzati e soprattutto rispettati”.
Il flusso del dato deve seguire un percorso logico e governato, partendo dall’obiettivo di business (“Cosa voglio sapere?”) per poi passare attraverso la raccolta (Chi, cosa, quando?), la validazione (Regole chiare) e l’integrazione (Razionalizzare il dato).
Infine, per chiudere il cerchio e abilitare un miglioramento continuo, il processo deve culminare in tre passaggi fondamentali suggeriti durante la discussione: decisione, azione e apprendimento. Senza questa struttura, l’AI è uno strumento potente che naviga a vista, incapace di generare valore reale e sostenibile.
Pronti a guardare oltre l’algoritmo?
Il messaggio centrale emerso dalla discussione è inequivocabile: il successo dell’Intelligenza Artificiale non dipende solo dalla potenza degli algoritmi, ma dalla qualità, dal contesto e dalla cultura che circondano il dato. Ignorare le fondamenta per inseguire l’ultima novità tecnologica è la via più rapida verso quel tasso di fallimento dell’85%.
L’AI non è una scorciatoia, ma il culmine di un percorso rigoroso di gestione dell’informazione.
Guardando al futuro, la sfida si fa ancora più complessa. La discussione ha toccato il ruolo crescente dell’AI generativa nella creazione e pulizia dei set di dati per l’addestramento, ma anche le tensioni tra la necessità di grandi volumi di dati e le normative sulla privacy come il GDPR, in netto contrasto con l’approccio dei modelli americani.
La vera domanda, quindi, non è solo se la vostra cultura del dato è pronta per l’AI, ma se siete pronti a governare l‘intero ciclo di vita del dato nell’era dell’AI generativa, dove l’informazione non viene solo analizzata, ma anche creata.
Siveco e Assodigit: Una partnership che unisce visione e operatività
Il 19 novembre, durante l’evento “Dati e AI per la manutenzione di oggi e di domani” organizzato da Siveco Italia e presentato da Assodigit, questi temi sono emersi con particolare chiarezza.
Il confronto tra professionisti e realtà operative ha confermato quanto il successo dell’intelligenza artificiale dipenda meno dalla tecnologia e molto di più dalla qualità del dato, dalla precisione dei processi e dalla capacità delle persone di operare in modo coerente con tali principi.
I casi concreti, le esperienze portate e le criticità condivise hanno mostrato come le predisposizioni culturali e operative siano determinanti per evitare gli errori più comuni e trasformare davvero l’AI in uno strumento utile e affidabile. Un riscontro diretto che chiude il cerchio delle riflessioni affrontate in questo articolo e che ribadisce un punto essenziale: senza basi solide, nessun modello può generare valore.
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